Gli Stati Uniti e l’Unione Europea pronti per nuovi “Maidan” e rappresaglie su larga scala
Ufficialmente siamo entrati in un nuovo periodo dove gli Stati Uniti stanno preparandosi a mantenere solida la loro influenza sulla politica mondiale e avere una vasta leadership sull’Eurasia.
Per farlo sono anche disposti ad abbattere sistemi di governo non conformi con la loro visione politica o addirittura scatenare guerre, dove successivamente i sistemi di governo come in Iraq vengono sostituiti con governi “democratici”, assicurandosi quindi l’alleanza di tali paesi abbattuti e delle loro riserve energetiche con basi americane, quindi occupazione di territorio straniero.
Tale occupazione di territorio straniero assicura quindi una posizione strategica per possibili ulteriori conflitti contro paesi che rifiutano il loro sistema di governo.
Non occorre andare molto lontano quanto basti osservare la loro interferenza nella vicenda Ucraina, quanto in paesi prima stabili e successivamente colpiti dalla guerra: Libia, Siria, Egitto, Tunisia.
L’Ucraina è stata l’ultima di questi paesi dove è stata finanziata dall’estero una di queste “rivoluzioni colorate”, in particolare estremisti violenti chiamata Majdan, volutamente preparata per abbattere un presidente che dava maggiore appoggio alla Federazione Russa e all’integrazione eurasiatica e rifiutava l’adesione allo stagnante sistema economico europeo, fondato sul sistema politico americano.
La rivolta di Majdan si è conclusa in un bagno di sangue che ha portato alle dimissioni presidente ucraino eletto democraticamente e portato all’instaurarsi del governo tecnico filo-europeista, che poi si è convertito in un regime a pulizia etnica dove le popolazioni ribelli delle regioni russe dell’Ucraina, le quali da mesi combattono per il diritto scegliere un proprio sistema di governo in appoggio della Russia, vengono sterminate da bombardamenti aerei dell’esercito ucraino e a colpi di artiglieria pesante dalle stesse armi fornite dagli Stati Uniti al regime ucraino.
Quello principalmente i capi di stato sostengono, è il fatto che in realtà sia la Russia che appoggia le regioni ribelli e fornisce loro armi.
Il dato di fatto è che sembra un fatto abbastanza ovvio che se da mesi le regioni russe dell’Ucraina, combattono per la propria terra, ridurle al silenzio con massacri su larga scala non è la situazione più diplomatica contraria al diritto di autoproclamazione dei popoli.
Un’altro fatto qui descritto è che le armi di difesa dei russi in realtà sono armi provenienti da arsenali presenti sul posto dai tempi dell’Unione Sovietica.
Tutti questi fatti oltre all’annessione democratica della Crimea alla Russia, osteggiata dagli Stati Uniti, sono stati il pretesto di questi ultimi e degli Alleati per portare avanti una campagna di propaganda e sanzioni per indebolire economicamente la Federazione Russa e descriverla come un regime che mira a espandersi.
George Soros ha lanciato un suo avvertimento contro il presunto espansionismo della Russia, descrivendola nel proprio immaginario “una minaccia esistenziale per l’Unione Europea”, e ha chiesto un maggiore sostegno materiale per l’Ucraina.
Lo stesso materiale con la quale l’attuale regime di governo fa genocidio di centinaia di civili russi.
Il magnate e filantropo sostiene che quanto usato da Vladimir Putin – autoritarismo e nazionalismo – rappresenti un modello alternativo alle democrazie liberali occidentali, riferendosi all’ammirazione per il Presidente russo espressa dal leader dell’UKIP Nigel Farage, il Presidente del francese Front National, Marine Le Pen, e il Primo Ministro ungherese, Viktor Orbán.
“L’Europa sta affrontando una sfida che la Russia sta portando alla sua stessa esistenza. Né i leader europei né i loro cittadini sono pienamente consapevoli di questa sfida e non conoscono il modo migliore per contrastarla “ – scrive Soros in un articolo pubblicato sul New York Review of Books.
Ovviamente pareri di personaggi eccentrici diventano così una manna per il giornalismo occidentale, dove personaggi con dichiarazioni prive di fondamento, possono finire in prima pagina e con altre notizie simili nel corso dei mesi creare il sempre più forte e diffuso parere che la Russia sia un paese pericoloso, portando in seguito i capi di stato come Obama a scegliere la politica militare e delle sanzioni facendole sembrare una cosa giusta.
Tale metodo qui descritto può anche essere usato per preparare le basi ideologiche nelle masse per poi averne il loro sostegno, affinchè in seguito gli vengano forniti i pretesti e gli strumenti per scatenare delle rivolte interne a questi paesi, anche economicamente floridi, portando così a indirietti colpi di stato e una volta destitito il vecchio governo intervenire per ristabilrne un’altro.
Questo sistema lo si sta facendo in questi ultimi mesi, oltre con la Russia, con altri due paesi: Turchia e Ungheria.
Il più recente a essere stato sotto pressioni esterne è all’interno dell’Unione Europea: l’Ungheria.
Economicamente fuori dalla recessione l’Ungheria è un paese fortemente in crescita nella sua economia, ma contrariamente agli altri paesi dell’Unione Europea è un paese la cui popolazione e capo di governo, Victor Orban, guardano più alla Russia e ai suoi valori, rispetto a quelli che l’Unione Europea esige.
Un paese che guarda alla Russia e che funziona bene è sempre stato sotto la lente d’ingrandimento degli Stati Uniti, storicamente ostili verso la Federazione Russa.
Per comprendere come l’Ungheria sia un paese che funziona è sufficiente sapere che nell’ultimo trimestre del 2014, il numero dei senza lavoro in Ungheria è stato di 319mila unità, 80mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2013.
Il tasso di disoccupazione è sceso così di due punti percentuali, toccando il 7,1%, un livello ormai consolidato nel corso degli ultimi mesi.
Lo comunica l’Ufficio statistico centrale ungherese (Ksh).
In una nota, il Ksh illustra inoltre che nella fascia d’età 25-54, quella dei cittadini più attivi sul mercato del lavoro, il tasso di disoccupazione è sceso al 6,4%, -1,7% su base annua.
Ksh che ha citato anche dati del Servizio nazionale per l’impiego (Afsz), che specificano che alla fine di dicembre 2014 in Ungheria erano 391mila le persone in cerca di un lavoro, -5,6% rispetto al dicembre 2013.
Buone notizie anche sul fronte del tasso di occupazione nella fascia d’età 15-64, ora al 62,6%. Nell’ultimo trimestre 2014, il numero degli ungheresi con un impiego è salito a 4 milioni 142mila, +172mila rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Secondo un’analisi del portale economico Portfolio.hu, i dati resi pubblici confermano che ”l’occupazione in Ungheria è cresciuta ancora negli ultimi tre mesi del 2014” e ”la buona notizia è che è il livello di occupazione pre-crisi è stato raggiunto anche senza” calcolare l’impatto ”dei lavoratori socialmente utili”.
Nonostante ciò, negli ultimi tempi la propaganda contro l’Ungheria non si è fatta attendere al punto che gli USA e alcuni membri dell’Unione Europea hanno trovato un “nuovo dittatore”.
Per esempio il senatore repubblicano John McCain ha offeso il presidente ungherese definendolo un dittatore neofascista.
Durante il dibattito nel Senato Usa sui nuovi ambasciatori, McCain ha parlato dell’Ungheria come di una “nazione che è vicina a cedere la sua sovranità a un dittatore neofascista che va a letto con Vladimir Putin”.
Parole piuttosto vergognose ma è una cosa piuttosto normale ascoltare frasi simili da parte di alcuni membri del governo americano che vedono “dittatori” in ogni parte del mondo.
Ironicamente parlando, il loro interesse e intromissione verso la politica estera è tale che si potrebbe facilmente pensare che gli Stati Uniti pensino che anche gli stati stranieri facciano parte del territorio americano.
Nel frattempo la propaganda anti-ungheria sta avendo i suoi effetti in quanto di recente stiamo assistendo a numerose manifestazioni da parte di estremisti che chiedono a gran voce che Victor Orban si dimetta, questo nonostante l’Ungheria sia un paese in sensibile crescita economica e come abbiamo osservato sopra la disoccupazione stia vertiginosamente scendendo.
Il leader dell’opposizione, Gyurcsàny Ferenc, capo della Coalizione Democratica, ha detto: “Se questo regime non viene rovesciato, prima o poi ci seppellirà con sè”. E ancora: “La democrazia parlamentare ungherese è morta, tutto ciò che ci rimane è democrazia e resistenza diretta”.
La posizione ungherese va ovviamente ad intaccare non solo gli interessi dell’Ue, ma anche – e soprattutto – quelli degli Usa. Recentemente, è successo un fatto singolare, che però ci aiuta a comprendere quali siano i (cattivi) rapporti che intercorrono tra Ungheria e America.
Il “falco” McCain ha per esempio detto che l’Ungheria è “un paese importante” in cui però Orban ha accentrato troppo potere.
E alle parole non sono tardati i fatti: a sei uomini ungheresi vicini a Orban è stato vietato di entrare negli Usa.
Di conseguenza si comprende come un paese economicamente stabile alleato con la Russia e la Cina sia minacciato ancora una volta dalle pressioni dell’Occidente che come in Siria ha finanziato e armato i ribelli contro il presidente Assad definendolo un regime, nonostante si sia sempre opposto con fermezza al terrorismo islamico e abbia portato la Siria, prima delle rivoluzioni colorate, ad un elevato benessere economico. (vedi qui)
Ungheria e Siria avevano due cose in comune: appoggiavano la Federazione Russa, proprio come Libia ed Egitto, paesi economicamente sviluppati e benestanti.
Sempre la solita regola: abbasso la Russia.
Passando successivamente alla Turchia una recente retata di arresti verso alcuni giornalisti ci fa capire cosa sia successo in realtà.
Pochi mesi fa Putin ha fatto la sua visita in Turchia dove, dopo aver rinunciato al progetto del gasdotto russo verso l’Europa vergognosamente osteggiato dall’Unione Europea, ha deciso che il gasdotto verrà reindirizzato verso la Turchia, la quale avrà addirittura uno sconto del gas del 6% e quindi abbondanti forniture energetiche dalla Federazione Russa.
Vladimir Putin e Tayyip Erdogan, diventato tempo fa presidente della Turchia, si conoscono bene e da tempo. Si erano incontrati decine di volte, quando Erdogan era ancora primo ministro del suo paese. Ad Ankara, Putin e Erdogan insieme hanno presieduto alla quinta riunione del Consilgio di alto livello per la cooperazione che dal 2009 svolge le funzioni di coordinamento dei rapporti bilaterali in tutte le sfere.
Per la Turchia la Russia è il secondo partner commerciale, dopo la Germania, mentre la classifica dei fornitori della Russia la vede al settimo posto. Nel 2013 il fatturato dell’interscambio bilaterale è stato di circa 33 miliardi di dollari.
A evidenziare la forte alleanza tra Turchia e Federazione Russa sono sopratutto i forti legami economici.
In una fase di grave disaccordo sulla collocazione internazionale – l’asserita comune volontà di combattere i movimenti terroristi non può nascondere l’opposta valutazione della situazione siriana – le ragioni della geopolitica riemergono almeno sul piano dell’interesse economico: nuovi accordi bilaterali (otto) sono stati firmati in campo commerciale, turistico ed energetico, nell’auspicio – formulato da Putin – di addirittura triplicare entro il 2020 il già corposo scambio commerciale tra i due Paesi.
Senza dubbio in contropartita della mancata partecipazione turca alle sanzioni antirusse, Putin ha riconosciuto uno sconto del 6 % sul prezzo del gas naturale, garantendo anche un incremento del flusso di metano diretto in Turchia: quest’ultima è, dopo la Germania, il maggiore acquirente di gas russo.
È stato anche confermato il partenariato fra Ankara e Mosca nella realizzazione della prima centrale nucleare in Turchia.
A spingere per una maggiore cooperazione di rilevanza politica sono stati in effetti i Tatari di Crimea: il loro Consiglio sociale – che comprende circa trecento organizzazioni facenti capo a quell’etnia – ha invitato i Presidenti Putin ed Erdogan a proclamare la Crimea “ponte di amicizia” fra Turchia e Russia, con un messaggio diffuso proprio alla vigilia del vertice.
Si tratta di un implicito riconoscimento da parte tatara dell’ingresso – sancito dal referendum popolare – della Crimea nella Federazione Russa, e di un’occasione per Ankara di eliminare un motivo di incomprensione con Mosca.
Tali alleanze spingono la Turchia più verso la Federazione Russa che verso l’Unione Europea, che mostra un sempre maggiore calo dei consensi a suo sostegno oltre che un’impossibile ripresa economica che farebbe crollare anche l’economia della Turchia se vi aderisse, anche quest’alleanza è osteggiata dagli Stati Uniti i quali tentano di promuovere un cambio di governo e sono favorevoli ad un’entrata della Turchia nell’Unione Europea, sebbene la maggioranza della popolazione anche qui ne sia seriamente contraria.
Un’esempio di come si scatenano dall’estero queste rivoluzioni dall’estero lo abbiamo osservato recente a Cuba.
Leggete qui:
“C’erano anche dei musicisti rapper tra i cubani ingaggiati dall’Usaid (l’agenzia Usa per lo sviluppo internazionale impegnata in diversi programmi) per favorire il cambiamento politico nell’isola. Lo afferma un’inchiesta dell’agenzia Associated Press. Il caso è stato ripreso dai media dell’Avana, che parla di “un altro capitolo della sovversione contro Cuba” e riferisce che “questa volta Washington ha cercato di infiltrare il movimento hip-hop e promuovere proteste giovanili contro il governo”.”(vedi qui)
La stessa cosa può essere fatta con il giornalismo di opposizione, diffondere notizie mezze vere e mezze false propagandando informazione distorta contro il governo di Erdogan, il quale ha capito cosa stava succedendo e ha reagito prontamente facendo protestare Unione Europea e Stati Uniti.
Una vasta retata di polizia giudiziaria in tutta la Turchia ha preso di mira giornalisti e personalità critiche con il governo guidato dall’Akp, il partito filoislamico di Recep Tayyip Erdogan, al governo dal 2002.
In una giornata, sono stati emessi 32 ordini di arresto in 13 città del Paese.
Gli agenti hanno perquisito anche la redazione di Istanbul del quotidiano Zaman, che in passato è stato collegato a Fethullah Gulen, il predicatore che vive in autoesilio negli Usa ed è uno dei principali avversari del presidente Erdogan dopo esserne stato il principale sostenitore nella lotta contro i militari, custodi secondo la Costituzione della laicità dello stato. Non a caso, fra i bersagli dell’operazione di polizia, c’era il direttore di Zaman, Ekrem Dumanli.
Le condanne Usa e Ue.
I raid della polizia turca e gli arresti dei giornalisti e dei rappresentanti dei media «vanno contro i valori europei e gli standard a cui la Turchia aspira di fare parte» ha dichiarato l’Alto Rappresentante per la politica estera Ue Federica Mogherini ed il commissario alla politica di vicinato Johannes Hahn.
Da Washington una nota del Dipartimento di Stato Usa: «La libertà di stampa, processi giusti e un sistema giudiziario indipendente sono elementi chiave in ogni democrazia. Come alleati e amici della Turchia, chiediamo alle autorità turche di assicurare che le loro azioni non violino questi valori chiave e le fondamenta democratiche del Paese».
Come l’Ungheria, anche la Turchia sembra avere un’elevato tasso di crescita economica, cosa che non succederebbe all’interno dell’Unione Europea con la moneta unica.
E’ indicata da molti come un’economia molto in salute.
La Turchia ha avuto nell’ultimo decennio tassi di crescita invidiabili e ha risentito meno di altri paesi della crisi globale.
Ma non mancano le contraddizioni. Un approfondimento
“Turchia” è diventato negli ultimi anni sinonimo di crescita. Non c’è esperto di economia che si rispetti che non abbia dedicato almeno una pagina al “fenomeno Turchia”.
Gli acronimi si sprecano, c’è chi dice che il paese della mezza luna andrebbe aggiunto alla lista delle più importanti economie emergenti, i Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) facendoli diventare Bricst.
Tuttavia ricordiamo che anche la Libia, quando era al governo Ghedaffi, era un paese economicamente benestante ed in forte crescita che sostenuto dalla Federazione Russa e dall Cina stava per aggiudicarsi l’entrata nei BRICS.
Non ha fatto una bella fine.
Ovviamente non è certo che succeda quanto descritto, ma gli esempi di Siria, Libia, Egitto e le recenti pressioni crescenti nei confronti dell’Ungheria sono un monito chiaro della politica estera statunitense.
Nel frattempo nei confronti della Russia la politica dei capi di stato occidentali, principalmente gli Stati Uniti, si è fatta sempre più aggressiva tanto che a scopo di renderla sempre più debole e creare delle rivolte interne si trovano sempre pretesti semplicistici pur di rafforzare periodicamente le sanzioni nei suoi confronti.
Spesso la propaganda del regime di Kiev ha accusato un’invasione dell’esercito russo all’interno della stessa Ucraina, o direttamente ai suoi confini, sebbene non siano mai state pubblicate immagini a tal rigardo, successivamente invece sono arrivati di recente a classificare la Federazione Russa come stato “aggressore ” e le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk come organizzazioni terroristiche.
Una vera e propria mossa tattica per spingere l’opinione pubblica, specialmente quella occidentale, a credere che la causa del conflitto in Ucraina l’unico responsabile sia la Federazione Russa e le popolazioni russe ribelli solo una massa di terroristi.
Di recente però il capo di stato maggiore dell’esercito ucraino ha chiaramente spiegato che non ci sono mai stati militari regolari russi in Ucraina, e che i combattimenti tra l’esercito ucraino riguardano le popolazioni russe in rivolta. (vedi qui)
Certo però che per essere delle popolazioni in rivolta l’esercito ucraino è talmente male organizzato, come un gruppo di mercenari, che finora è sempre stato costretto a battere in ritirata.
Tanto accannimento contro la Federazione Russa e i suoi alleati da parte dell’Occidente ci porta solo a una conclusione: l’influenza della politica estera degli Stati Uniti sta perdendo terreno a vista d’occhio in vista delle future prospettive che potrebbero portare la Russia e la Cina, oltre ai loro alleati a essere delle vere e proprie superpotenze in grado di contrastare l’influenza della politica estera statunitense, comprese le sue importazioni dall’estero di materie prime.
Non è una sorpresa quindi che alla vigilia della nascita dell’Unione Eurasiatica e della presidenza della Russia ai paesi BRICS gli Stati Uniti e l’Unione Europea stiano letteralmente puntando il mitra contro l’Orso Russo e bombardandolo di sanzioni per indebolirlo.
Militarmente gli Stati Uniti e l’Unione Europea non hanno la capacità di affrontare l’esercito russo e i suoi alleati.
Nel contempo però in vista di un futuro pieno di prospettive economiche e sviluppo da parte dell’Unione Eurasiatica, il presidente Barack Obama, classificato Premio Nobel per la Pace, ha deciso che non rinuncerà tanto facilmente al ruolo degli Stati Uniti sulla politica mondiale, anche a costo di scatenare una guerra, e non una guerra di piccole dimensioni.
Barack Obama aveva promesso, prima di essere eletto, “un mondo libero dal nucleare” ma sembra che le sue prospettive non siano andate a gonfie vele, specialmente quando negli Stati Uniti è sceso a tal punto sotto i consensi da essere classificato secondo l’opinione pubblica americana: “Il peggior Presidente della Storia degli Stati Uniti.”
L’amministrazione Obama progetta di spendere fino a 1,1 trilioni di dollari in tre decenni per un nuovo riarmo nucleare, che si va a sommare al nuovo programma miliardario di sviluppo militare della Russia.
Gli Stati Uniti hanno la responsabilità morale di cercare la “sicurezza di un mondo senza armi nucleari” gridava alle folle Barack Obama, la cui amministrazione oggi insiste invece sul fatto che i miglioramenti dell’arsenale nucleare americano sono vitali, ovviamente a causa delle tante crisi geopolitiche che gli USA devono affrontare quotidianamente, per difendere la nazione e i suoi alleati.
Da qui, la “necessità” di un nuovo riarmo nucleare statunitense che si va a sommare al nuovo programma miliardario di sviluppo militare russo, anche se Vladimir Putin ha subito messo le mani avanti assicurando che “Mosca non ha intenzione di aderire a nessuna nuova corsa agli armamenti”, chiarendo che “le misure di sicurezza della Russia sono puramente difensive e qualsiasi isteria sul tema sarebbe quindi inopportuna”.
Dalla Casa Bianca nessuna “isteria”, ma a quanto pare solo un progetto di ristrutturazione dell’arsenale atomico che il Congressional Budget Office stima avrà un costo di 355 miliardi dollari nei prossimi 10 anni. Come riporta il New York Times, però, tale spesa è destinata col tempo a lievitare inesorabilmente, visto che a breve missili, bombardieri e sottomarini realizzati nel secolo scorso stanno per raggiungere la fine della loro vita, dopo averne spezzate chissà quante.
L’amministrazione Obama avrebbe già riferito al Pentagono di pianificare l’arrivo di 12 nuovi sottomarini missilistici, fino a 100 nuovi bombardieri e 400 missili terrestri. Un recente studio del Monterey Institute, ha quindi stimato che in realtà il costo totale dell’impresa nucleare nei prossimi tre decenni ammonterà dai circa 900 miliardi di dollari a circa 1,1 trilioni di dollari.
Tuttavia gli Stati Uniti nonostante la loro economia sia in ripresa, nel settore militare rispetto alla Federazione Russa e alla Cina sono rimasti molto più indietro (dettagli qui) e a conti fatti, vista la rapidità di riarmo della Cina e della Russia, tra un decennio calcolando che tutte e tre le nazioni continueranno con la stessa costanza lo sviluppo del settore militare, per non parlare dell’aumento delle unità dell’esercito, gli Stati Uniti si troveranno comunque sul fanalino di coda.
Ovviamente questa si tratta di un’ipotesi fin troppo semplicistica, ma non è il caso escludere tali possibilità.
Fonti:
http://www.informarexresistere.fr/2014/10/26/george-soros-la-russia-e-una-minaccia-per-lesistenza-delleuropa/
http://www.ansa.it/nuova_europa/it/notizie/rubriche/economia/2015/01/28/ungheria-disoccupazione-scende-al-71-a-fine-2014_823f5d9a-ce01-4b4f-ae37-4e3a071f1a4e.html
http://www.askanews.it/nuova-europa/mccain-da-del-dittatore-fascista-a-orban-budapest-protesta_71166898.htm
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ungheria-cina-e-russia-triangolo-che-non-piace-agli-stati-1086871.html
http://temi.repubblica.it/limes/south-stream-addio-il-gas-di-putin-va-in-turchia/67521
http://www.eurasia-rivista.org/fra-turchia-e-russia-forte-cooperazione-economica/21965/
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Turchia/Economia-turca-quando-la-tigre-abbaia-120855
http://atlasweb.it/2015/01/21/ucraina-kiev-accusa-mosca-soldati-russi-ci-attaccano-579.html
http://www.metronews.it/15/01/27/ucraina-%C3%A8-guerra-kiev-accusa-la-russia.html
http://russian.rt.com/article/71357
http://www.mainfatti.it/nucleare/Obama-riarmo-nucleare-da-1-trilione-di-dollari-Per-il-Nobel-la-Pace-e-Guerra_068380033.htm