El Nino, il riscaldamento le acque del Pacifico che scatena la siccità, tifoni e tempeste in tutto il mondo, può essere causato da flussi di lava vulcanica sottomarina, dice uno studio della US Geological Survey.
La lava che fuoriesce costantemente dalle spaccature nel fondo dell’oceano può portare a drammatici cambiamenti di temperatura del mare, della pressione atmosferica, e i venti e le correnti che caratterizzano il fenomeno, secondo lo studio della EOS, la pubblicazione della American Geophysical Union.
El Nino, dallo spagnolo per ” il bambino” perché l’evento è stato notato verificarsi intorno a Natale, ha causato un danno economico impressionante in quattro continenti, nel 1982-83.
E ‘avvenuto di nuovo nel 1985-86 su scala minore.
Herbert R. Shaw e James G. del Geological Survey di Menlo Park hanno ipotizzato che i flussi in eruzione attraverso fratture della crosta terrestre emettono una tale quantità di calore intenso da condizionare le correnti oceaniche che scorrono intorno all’equatore.
Secondo la teoria, il riscaldamento dell’acqua provoca una diminuzione della pressione dell’aria sulla superficie dell’oceano che a sua volta indebolisce o annulla anche i normali alisei da est verso ovest.
Il risultato complessivo è una alterazione drastica delle condizioni meteorologiche normali e un brusco arresto per la risalita delle correnti fredde che portano sostanze nutritive ricche dal fondo del mare alla superficie lungo la costa del Sud America.
Gli scienziati sono stati in grado di prevedere quando le perturbazioni meteorologiche torneranno, ma sembra che si verifichino ogni tre a sette anni con diversi gradi di impatto e possono durare fino a due anni.
El Nino del 1982-1983 sha pazzato via la pesca in Perù e in Ecuador, scatenando terribili siccità in Australia e in Sud Africa e tifoni a Tahiti e ha causando piogge insolitamente violente in California e inverni umidi anomali nel sud-est.
Entrambi gli eventi del 1982-83 e del 1985-86 hanno fatto danni gravi alla pesca al largo della costa occidentale.
Il Pacifico è una delle regioni sismiche più attive del mondo.
Recenti flussi di lava sottomarina sono stati scoperti nei pressi delle isole Hawaii coprendo quasi 9.000 miglia quadrate.
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Nel corso della settimana sono stati registrati 6 eventi sismici molto superficiali ( prof. < 2 km) e di bassa energia (M < 1.0), mentre la velocità di sollevamento mostra una ripresa rispetto alla riduzione segnalata nel precedente bollettino. Per una migliore valutazione della velocità di sollevamento occorrerà comunque attendere una serie temporale di maggiore durata e una riduzione dell’incertezza dei valori rilevati dalla rete GPS. Deformazioni del Suolo: Nel corso della settimana è stato rilevato un sollevamento di circa 0.5 cm alla stazione GPS di Rione Terra a Pozzuoli (RITE), dove la variazione è stata maggiore. In figura 2.1 viene riportata la serie temporale delle variazioni in quota dal 2012 della stazione GPS di RITE, dove i punti in nero rappresentano le variazioni settimanali calcolate con i prodotti finali IGS (effemeridi precise e parametri della rotazione terrestre) i quali vengono rilasciati con un ritardo di 12-18 giorni. I punti in blu rappresentano le variazioni giornaliere calcolate con prodotti rapidi IGS in attesa del riprocessamento con i prodotti finali IGS appena disponibili.
Uno sciame sismico sta interessando le isole Santa Cruz, nell’arcipelago delle isole Salomone. Dalla giornata di ieri si sono verificate scosse superiori alla magnitudo 6.0 (Max intensità 6.2 alle 4:33 della notte), con epicentro a 60 chilometri ad est di Lata ed una profondità ipocentrale di 9.2 chilometri. Nessun allarme tsunami è stato emesso. Al momento della presente relazione continuano a susseguirsi scosse di magnitudo superiore a 5.0. Le isole Santa Cruz si sono formate meno di cinque milioni di anni fa, spinte verso l’alto dalla subduzione tettonica della placca Indo-australiana sotto la placca pacifica. Sono per lo più composte da calcare e cenere vulcanica e sono soggette a forti terremoti. L’isola più grande del gruppo è Nendo, con una popolazioe di circa 5000 anime, seguita dall’isola di Vanikolo con una popolazione di 800 abitanti. Proprio qui si trova il punto più alto dell’arcipelago, che misura 924 s.l.m.
Il Kazakistan potrebbe tagliare l’import di prodotti petroliferi dalla Russia sulla base dell’accordo firmato lo scorso anno tra i due membri dell’Unione doganale che stabilisce lo scambio di greggio a fronte di prodotti raffinati. È quanto riporta Kommersant. Il Kazakistan, infatti, dopo aver chiuso per ammodernamento e fino al 2016 le sue tre principali raffinerie aveva necessità di importare prodotti raffinati. Lo scorso anno la Russia ha esportato 1,3 milioni di tonnellate di benzina e diesel per 1,33 miliardi di dollari per compensare le forniture kazake. Ma l’accordo commerciale che esenta da dazi sta provocando una perdita perché l’approvvigionamento dalla Russia avviene a prezzi inferiori rispetto a quelli di esportazione. Per questi motivi, spiega il quotidiano, il governo del Kazakhstan ha deciso tagliare la dipendenza dalla Russia e di spingere i rapporti con la Cina. Il governo kazako sta infatti pensando di realizzare una pipeline proprio verso Pechino. Secondo Kommersant le discussione tra i due paesi sono comunque in corso: il vicepremier russo Igor Shuvalov ha incontrato oggi a Mosca il vice primo ministro kazako Kairat Kalimbetov.
Alla luce della nuova scoperta, ricorda il Daily Telegraph, le stime più favorevoli consentirebbero al paese di entrare ufficialmente nel gotha dei grandi produttori mondiali. Quelle più caute, in ogni caso, permetterebbero all’Australia di trasformarsi in un esportatore netto, ovvero di raggiungere l’autosufficienza energetica con una ricaduta positiva sulla bilancia commerciale
Da attore marginale a protagonista assoluto del mercato petrolifero del Pianeta. Potrebbe essere questo il destino dell’Australia qualora dovessero rivelarsi esatte le stime più ottimistiche circa l’ammontare complessivo delle riserve nazionali di greggio. A suscitare entusiasmo, in particolare, è l’annuncio ufficiale della Linc Energy, una società del settore che detiene i diritti di esplorazione ed estrazione nel bacino di Arckaringa, nel sud del Paese. Due diversi rapporti commissionati alle società DeGolyer&MacNaughton (D&M) e Gustavson hanno infatti stimato rispettivamente in 103 e 233 miliardi di barili il totale delle riserve potenziali contenute nell’area. Due valutazioni molto diverse, ovviamente, che, tuttavia, hanno in comune l’eccezionale ordine di grandezza.
“Se consideriamo i 233 miliardi di barili – ha spiegato alla ABC News il ceo di Linc Energy Peter Bond – allora stiamo parlando di numeri da Arabia Saudita”, ovvero del leder mondiale dell’oro nero. All’Australia, ricorda oggi il Daily Telegraph, sono state attribuite fino ad oggi riserve totali pari a 3,9 miliardi di barili, circa lo 0,2% dell’ammontare complessivo globale. Alla luce della nuova scoperta, ricorda ancora il quotidiano britannico, le stime più favorevoli consentirebbero al Paese di entrare ufficialmente nel gotha dei grandi produttori mondiali. Quelle più caute, in ogni caso, permetterebbero all’Australia di trasformarsi in un esportatore netto, ovvero di raggiungere l’autosufficienza energetica con una ricaduta positiva sulla bilancia commerciale.
La vicenda richiama immediatamente alla memoria le recenti previsioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (International Energy Agency – IEA) sul futuro dell’export americano. A novembre, in occasione della pubblicazione del rapporto annuale “World Energy Outlook 2012”, la Iea si era spinta a pronosticare il sorpasso Usa sull’Arabia Saudita nella classifica dei produttori mondiali di greggio entro il 2020 con conseguente aumento delle esportazioni a stelle e strisce e inevitabile calo del disavanzo commerciale. Nel caso statunitense, hanno affermato gli analisti della banca HSBC, il risparmio potrebbe valere 85 miliardi di dollari all’anno a fronte di un meno 25% alla voce import petrolifero. Insomma, una vera e propria rivoluzione geopolitica.
Il parallelo con gli Stati Uniti appare scontato. Non è un caso, infatti, che nella nota ufficiale presentata da Linc Energy le potenzialità di Arckaringa vengano paragonate a quelle di due celebri giacimenti americani: quello di Bakken, in Texas, e quello di Eagle Ford, nel North Dakota. In entrambi i casi, così come per il giacimento australiano, parla di shale oil, ovvero di petrolio depositato nelle profondità rocciose. La stessa caratteristica del promettente e contestato shale gas per il quale, nel corso degli anni, sono state sviluppate tecniche di estrazione quali perforazione verticale, orizzontale e hydrocracking tramite l’iniezione in profondità di liquidi ad alta pressione. Una tecnologia, quest’ultima, che, al netto dell’impatto ambientale, consentirebbe il raggiungimento di nuove riserve energetiche tanto sul fronte del gas quanto su quello del petrolio.
Secondo il ministro degli affari minerari Tom Koutsantonis, citato ancora dal Telegraph, le riserve di shale oil nell’Australia meridionale potrebbero valere fino a 20 trilioni di dollari (oltre 15 mila miliardi di euro) anche se i costi complessivi di estrazione non sono ancora chiari. Linc Energy, nel frattempo, ha annunciato di aver dato incarico a Barclays Bank di svolgere il ruolo di consulente nello sviluppo di opzioni strategiche a cominciare dall’individuazione di un nuovo partner per operare in joint venture nel processo di estrazione del greggio.
La Cina esplora l’Artico, ma lo fa “per ricerca scientifica”. Naturalmente non ci crede nessuno.
La Cina è sempre più affamata di risorse. Non paga di essersi accaparrata inspiegabili quantitativi di riso e cereali, come ricordavamo qualche giorno fa, è ornai diventata di casa nei più nordici ed impervi porti canadesi dell’Artico.
Lo racconta lo Spiegel.
L’equazione è semplice. La Cina ha fame di risorse, e l’Artico ne è ricco. Cosa potrebbe esserci di più diretto? Ma la Cina insiste che il suo interesse nella regione è anzitutto per ragioni di ricerca scientifica, che l’Artico è utile per capire i cambiamenti climatici, che offre interessanti rotte commerciali eccetera.
Naturalmente a tutto questo interesse scientifico non ci crede nessuno. Ma c’è da ricordare che quando si parla di risorse artiche ci si riferisce anzitutto a petrolio e gas, visto che a quelle latitudini non si cercano certo legname o terre coltivabili. In realtà, al momento si tratta di gite esplorative: la Cina non ha alcuna intenzione di pestare i piedi alle già numerose nazioni che si contendono l’Artico a colpi di trattati, minacce, e sorvolo di bombardieri.
Come ha già fatto in altre zone del pianeta dove non è facile entrare direttamente, allora, la Cina sta stringendo accordi con compagnie minerarie e petrolifere di Canada e Groenlandia, per arrivare ad ottenere la sua parte senza destare troppa attenzione. E’ quella che abbiamo tante volte chiamato “la spesa cinese”.
Fonte:http://petrolio.blogosfere.it/2013/01/cina-e-adesso-va-ad-esplorare-lartico.html
C’è petrolio nel Sannio ma è ancora lunga la strada che conduce dalle prime autorizzazioni esplorative alle trivellazioni vere e proprie per l’attività estrattiva. Uno degli scogli da superare è rappresentato dalle forti resistenze e preoccupazioni delle comunità locali. La levata di scudi di 18 sindaci del Fortore e del Tammaro potrebbe essere il principale ostacolo. Il precedente rimanda alla richiesta di Shell Italia dello scorso giugno per procedere alla ricerca di idrocarburi in 8 dei 14 comuni del Vallo di Diano, nel salernitano mandata a monte dalla discesa in campo di due senatori locali,Roberto Della Seta e Francesco Ferrante.
Un’area di 333 chilometri
Nel caso del Sannio la situazione è diversa. La richiesta di avviare ricerche sull’invaso (un’area da 333 chilometri quadrati distribuita in 18 comuni da Apice a Morcone, passando per S.Giorgio La Molara, Pago Veiano ed anche Campolattaro) da parte della inglese Delta Energy, ha già incassato, lo scorso 14 dicembre, parere favorevole alla Valutazione di impatto ambientale da parte dell’ap posita commissione tecnica della Regione. Per la realizzazione di pozzi per i quali sarà necessario un ulteriore iter. L’iniziativa dei sindaci è dunque bloccare un processo già avviato. Molti primi cittadini e loro delegati han no preso parte nei giorni scorsi all’audizione svoltasi in commissione Am biente della Regione Cam pania. Presenti tra gli altri i sindaci di Reino (Antonio Verzino), Pago Veiano (Mau ro De Ieso), Apice (Ida An tonietta Albanese), Sassinoro (Pasqualino Cusano), Colle Sannita (Giorgio Carlo Ni sta), Fragneto L’Abate (Nun ziatina Palma), Campolattaro (Pasquale Narciso), Pesco Sannita (Antonio Michele), e i rappresentanti delegati dei Comuni di Pietrelcina, San Giorgio la Molara, Santa Croce del Sannio, Morcone, Circello, Castelpagano.
L’assessore Romano
L’assessore regionale all’Ambiente, Giovanni Romano, non ha invece partecipato all’audizione chiesta dal presidente della Commissione Ambiente Luca Colasanto. Tuttavia dalla lunga relazione trasmessa dall’assessore (che alleghiamo in esclusiva) si evince che le perforazioni esplorative avverranno esclusivamente lungo gli assi viari della zona, mai di notte e tantomeno nel periodo primaverile limitando al massimo l’interferenza con la popolazione e la fauna.
Sorgenti e invasi
La preoccupazione dei sindaci, inutile dirlo, è per le ricadute ambientali, in particolare le tante sorgenti esistenti nel territorio che potrebbero essere contaminate dal bario (elemento chimico usato diffusamente nei pozzi di petrolio per appesantire i fluidi di trivellazione) in una provincia che continua a vivere sull’agricoltura e sullo sviluppo zootecnico e cerealicolo. Dopo l’incontro dell’8 gennaio scorso, a San Marco dei Cavoti si sono riuniti a Colle Sannita i sindaci che hanno risposto all’appello dei due consiglieri comunali di San Marco dei Cavoti, Domenico Costanzo e Valentino Castello sulla vicenda delle indagini per ricerche petrolifere. Sabato 19 gennaio dodici comuni e tre comunità montane (Fortore, Titerno-Alto Tammaro, Ufita) hanno sottoscritto un protocollo di intenti. Obiettivo acquisire informazioni e atti e verificarne la legittimità. Allo scopo è stato costituito anche un gruppo di lavoro Primo passo l’accesso ai documentiin attesa di incontrare l’assessore regionale Giovanni Romano.
Fonte:http://denaro.it/blog/2013/01/25/ce-petrolio-nel-sannio-pro-e-contro-le-trivellazioni/
Un blocco di gelida aria artica proveniente dal Mar di Beaufort, a Nord dell’Alaska, ha raggiunto ieri il Canada occidentale, provocando un brusco raffreddamento del territorio con minime da brivido: medie tra -45°C e -46°C, con picchi fino a -50°C!
La cittadina più fredda è Dawson, nello Yukon, dove i termometri sono scesi fino a -50.3°C, mentre la massima è stata -35.4°C! G
rande contributo al ribasso delle minime è da attribuire all’effetto Albedo dovuto alle fitte nevicate dei giorni scorsi (circa 75 cm di neve).
Sebbene siano minime storiche, il record gelido della cittadina è ancora distante di quasi 8°C.
Altre minime registrate nel Canada Occidentale:
– -48.2°C ad Old Crow
– -44.4°C a Deadmen Valley
– -44.2°C di Norman Wells
– -42.0°C di Deline.
Nelle prossime ore, questo nucleo di aria fredda raggiungerà il Canada centrale fino ad arrivare alla zona dei Grandi Laghi, dove le colonnine di Mercurio scenderanno fino a -30°C/-35°C.
Fonte:http://classmeteo.weather.com/web/portale/news/ondata-di-gelo-in-canada-minime-fino-a-50-gradi/
OREGON – Un terremoto di magnitudo 5,3 ha colpito circa 170 miglia al largo della costa meridionale dell’Oregon.
Il National Weather Service di Costa Ovest e Centro Alaska Tsunami Warning ha detto che non c’era alcun pericolo di uno tsunami dal terremoto Martedì sera.
Non ci sono al momento notizie di danni.
Lo US Geological Survey National Earthquake Information Center a Golden, Colorado, ha detto che il sisma alle 07:14 si è verificato ad una profondità di 6,4 chilometri.
Entro le 10 di sera, il sito del centro aveva registrato quattro relazioni da parte di persone che hanno detto che sentivano un debole scossa dal terremoto.
Negli ultimi 12 mesi, il numero di terremoti in atto al largo della costa dell’Oregon è stato moderato aumento.
SIRIA – Gli aerei da guerra israeliani hanno colpito Mercoledì obiettivi NEI dintorni di Damasco, la capitale siriana, secondo i rapporti siriani e occidentali, tra la paura crescente internazionale che il presidente Bashar Assad perda il controllo delle scorte del suo paese di armi chimiche avanzate.
Un funzionario occidentale che ha parlato a condizione di anonimato ha detto che il raid aereo ha colpito un convoglio di camion che crede di essere portatori di armi antiaeree di Hezbollah nel vicino Libano.
La spedizione è stata pensato per essere inclusa di fabbricazione russa di missili SA-17, ha detto il funzionario.
Se tali armi sono state ottenute dal gruppo militante libanese Hezbollah, potrebbe indebolire il potere militare regionale di Israele e ostacola la sua capacità di lanciare attacchi aerei in Libano.
I media di Stato siriani, hanno anche segnalato un attacco aereo israeliano, hanno negato che l’obiettivo era una spedizione di armi per Hezbollah, invece sostenendo che un centro di ricerca militare e edificio adiacente era stato distrutto.
Ha detto che due persone sono state uccise e cinque sono rimasti feriti in un attacco all’alba.
La Siria non ha detto che tipo di ricerca si è svolta presso il centro di Jamraya, nord-ovest della capitale.
Funzionari israeliani hanno rifiutato di commentare sulle relazioni.
Ma un tale attacco avrebbe segnato un’azione più aggressiva militare di Israele in Siria durante la rivolta di quasi due anni contro il governo di Assad.
I funzionari israeliani sono stati in allarme nei giorni scorsi che la Siria le armi potrebbero cadere nelle mani di gruppi militanti che potrebbero servirsene contro Israele.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha sollevato la preoccupazione che nel corso di una riunione di Gabinetto di questa settimana e i funzionari hanno ripetutamente detto che qualsiasi trasferimento di armi pericolose Siria al di fuori del paese potrebbe innescare una risposta militare.
Israele ha cercato di evitare il conflitto siriano, temendo che qualsiasi azione che potrebbe prendere, ad esempio sostenere le forze di opposizione o lanciare un attacco militare, potrebbe ritorcersi contro o diventare foraggio di propaganda per Damasco.
Funzionari siriani hanno da tempo denunciato che le forze degli Stati Uniti e “sioniste” sono dietro la rivolta contro Assad.
Ogni parte del conflitto siriano si è ritratto come un nemico implacabile di Israele.
C’è anche la paura che un attacco israeliano potrebbe trarre gli altri nel conflitto siriano.
Iran, stretto alleato della Siria, ha detto questa settimana che qualsiasi attacco straniero contro la Siria sarebbe considerato come un attacco contro l’Iran.
Oltre alle armi chimiche, i funzionari israeliani sono stati particolarmente preoccupati delle scorte della Siria di SA-17, missili antiaerei.
Israele si rifiuta spesso di confermare o smentire le sue attività nella regione, in parte per una credenza il suo silenzio potrebbe ridurre la pressione sui suoi nemici a rispondere.
Nelle ultime settimane, gli israeliani hanno avvertito che Assad sta perdendo il controllo sulle sue armi chimiche e che l’azione militare potrebbe essere presa.
Tra le avvertenze rinnovate, gli israeliani vivono nella parte settentrionale del paese, vicino al confine con la Siria e il Libano sono stati brulicanti in uffici postali e centri di distribuzione di altri a prendere emesse dal governo maschere antigas.
Israele trasferito due dei suoi cinque missili Iron Dome di intercettazione di sistemi nella parte settentrionale del paese, anche se i funzionari militari hanno detto che la mossa non era legata alla paura di attacchi imminenti.
Fontehttp://www.latimes.com/news/world/worldnow/la-fg-wn-israel-convoy-20130130,0,6001837.story