E’ piuttosto evidente che l’attività della macchie solari influenza la tettonica terrestre dal vulcanismo all’attività sismica su scala globale, secondo molti i periodi di forti terremoti e attività vulcaniche si verificano durante le fasi di bassa attività solare mentre i periodi in cui l’attività solare è più intensa sono sfavorevoli nel numero di intense attività vulcaniche e terremoti.
Un certo numero di opere sono state dedicate allo studio delle relazioni statistiche tra i parametri di attività solare e sismica: AD Sytinskii (1963-1998); PM Sychev (1964), John F. Simpson (1968); OV Lusmanashvili (1972, 1973); FA Makadov (1973); YD Kalinin (1973, 1974); Gribin (1974); GY Vasilyeva (1975); Velinov P. (1975); Kanamori H. (1977); VD Talalayev (1980); NV Kulanin (1984) ; YD Boulanger (1984); Sh. F. Mehdiyev, EN Khalilov (1984, 1985); Jakubcova e M. Pick (1987); AD Sytinskii (1989); RMC Lopes, SRC Malin, A. Mazzarella (1990); OA Khachay (1994); LN Makarova, Gui -Qing Zhang (1998); AV Shirochkov (1999); X. Wu, W. Mao, Y. Huang (2001); IV Ananyin, AO Fadeev (2002); Schulenberg K. (2006); SD Odintsov, GS-Ivanov Kholodnyi e Georgieva K. (2007), e VE Khain, EN Khalilov (2008, 2009), tra gli altri.
Lo scienziato cinese Gui-Qing Zhang (1998) ha concluso che i terremoti si verificano spesso intorno agli anni minimi di attività solare.
Negli anni picco di attività solare, il numero di terremoti è relativamente inferiore che intorno ai minimi.
Uno studio condotto da un gruppo di scienziati (SD Odintsov, GS Ivanov-Kholodnyi e K. Georgieva, 2007) hanno dimostrato che la massima energia sismica rilasciata dai terremoti all’interno del ciclo di 11 anni di attività solare si osserva durante la fase di declino del ciclo e prima del suo massimo solare.
Anche in merito alle attività vulcaniche sono stati fatti diversi studi in connessione con il ruolo dell’attività delle macchie solari.
Gli sforzi per identificare il rapporto statistico tra attività solare e le manifestazioni vulcaniche sono state fatte da un certo numero di scienziati: AI Abdurakhmanov (1976); NK Bulin (1982); YA Hajiyev (1985); Sh. F. Mehdiyev, EN Khalilov (1984, 1985); SV Tsirel (2002), e VE Khain, EN Khalilov (2008, 2009), tra gli altri.
Per esempio, AI Abdurakhmanov, PP Firstov e VA Shirokov hanno suggerito un legame tra eruzioni vulcaniche e la ciclicità di 11 anni di attività solare.
Secondo gli autori, gli anni in prossimità di massima attività solare sono sfavorevoli per eruzioni vulcaniche, mentre gli anni più favorevoli per le eruzioni si trovano vicino al minimo di attività solare, per lo più nel mezzo e alla fine del declino del ciclo solare (AI Abdurakhmanov, 1976) .
Un certo numero di ricercatori (Sh. F. Mehdiyev, EN Khalilov, 1987; VE Khain, EN Khalilov, 2008, 2009) indicano nelle loro opere che l’effetto dell’attività solare sui terremoti e le eruzioni vulcaniche si verificano in diverse zone geodinamiche (in compressione della Terra ed estensione delle zone)che non sono uguali.
Hanno diviso tutti i terremoti e i vulcani in base alla loro associazione con le zone della Terra di compressione ( placche di subduzione litosferiche e zone di collisione) ed estensione (zone di rift).
I risultati della ricerca mostrano che durante i periodi di attività solare vi è generalmente un aumento nell’attività di terremoti di compressione della Terra di zona e un calo nell’attività nelle zone della Terra di estensione.
Gli autori concludono che a causa della non-simultaneità della proroga e dei processi di compressione, la Terra subisce deformazioni periodiche e cambiamenti di raggio, che si riflettono nelle variazioni della Terra velocità angolare e globali fluttuazioni del livello del mare (VE Khain, EN Khalilov, 2008, 2009).
Conclusioni molto simili tra studi differenti lascia presupporre che un ruolo non ancora riconosciuto ufficialmente esiste, anche se non è stato chiarito il reale meccanismo che spinge tali fenomeni a verificarsi.
Per semplificare la questione di questo punto verranno esclusi i terremoti, in quanto non appare piuttosto chiaro che è semplicemente IMPOSSIBILE dimostrare che i terremoti sono in aumento, ogni anno si stima che il nostro pianeta colpito da oltre un milione di terremoti, della quale la maggioranza non viene rilevata, a partire dai fondali oceaniche alle aree della terraferma che non sono dotate di sensori appositi, di conseguenza concludere che i terremoti sul nostro pianeta sono aumentati rispetto al passato è piuttosto arduo a livello di credibilità.
La magnitudo molto probabilmente diventa più intensa durante le fasi di bassa attività solare, ma affermare con certezza che sono aumentati non merita credibilità.
La nostra questione si soffermerà di conseguenza sul fenomeno del vulcanismo che appare più facilmente dimostrabile, in quanto maggiormente monitorato e ampiamente documentato rispetto all’attività sismica.
Sembrerebbe che gli episodi vulcanici durante le fasi di bassa attività solare non solo aumentino la frequenza del vulcanismo esplosivo, ma allo stesso modo anche il volume di materiale eruttato e la durata delle eruzioni diventi più lunga.
E’ come se durante i periodi di intensa attività solare il campo magnetico solare quando si intensifica tenesse “sotto controllo” l’attività convettiva del mantello, mentre quando la sua intensità va diminuendo, come è comune durante le fasi di bassa attività solare, è come se l’emissione di energia termica proveniente dalle profondità della Terra andasse aumentando.
L’attività delle macchie solari non sembra essere l’unica a dominare l’attività sismica e vulcanica del nostro pianeta, ma a quanto si vede anche le radiazioni spaziali sembrano in grado incrementare l’attività convettiva del mantello, o meglio portare ad un’incremento l’energia termica proveniente dall’area superficiale della regione fusa sotto la superficie terrestre.
La Terra ha un cuore radioattivo e caldo.
Sotto la crosta terrestre si trova un’oceano di uranio e torio che riscalda il pianeta e che in parte è responsabile dei terremoti, delle eruzioni vulcaniche e della formazione dei fondali basaltici marini.
A rivelare l’esistenza di questa vera e propria ‘stufa’ del pianeta nascosta nel mantello terrestre sono le particelle che provengono dalle profondità della Terra, chiamate geoneutrini, osservate per la prima volta nel 2010 dall’esperimento internazionale Borexino, condotto nei Laboratori del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
I dati aggiornati sono stati presentati anni fa a Venezia , nella conferenza internazionale sui neutrini, e confermano che il decadimento dei geoneutrini e’ una delle principali fonti di energia del pianeta.
Dimostrano che migliaia di chilometri sotto la crosta terrestre elementi radioattivi come l’uranio decadono, producendo enormi quantità del calore che muove i continenti, scioglie le rocce e le trasforma in magma e lava per i vulcani.
Finora la composizione del mantello era stata un enigma, ma le particelle che arrivano dal cuore della Terra indicano che in esso si trovano immense quantità di elementi radioattivi che appartengono alla famiglia dell’Uranio-238 e a quella del Torio-232.
Grazie a queste informazioni diventa possibile valutare quale sia la continua produzione di energia termica nella Terra.
I reattori nucleari sfruttano la fissione di un nucleo pesante per produrre energia.
La reazione di fissione viene provocata da una particella nucleare, tipicamente un neutrone, che colpendo il nucleo pesante ne provoca la scissione in due nuclei più leggeri.
Se potessimo in qualche modo misurare la massa del nucleo prima della fissione e quelle dei frammenti prodotti si troverebbe che, alla fine della reazione, manca della massa, ossia la somma delle masse dei prodotti è inferiore a quella del nucleo madre.
La quantità di energia derivante dalla perdita di massa è enorme: ogni kg di massa convertito in energia è equivalente all’energia ottenibile bruciando 3 milioni di tonnellate di carbone.
In un tipico reattore nucleare comunque solo una piccola frazione di massa è convertita in energia dell’ordine di qualche percentuale.
Le reazioni di fissione in un reattore vengono dunque innescate e sostenute dal bombardamento di neutroni inizialmente rilasciati nel processo di decadimento radiaoattivo di qualche nucleo e successivamente prodotti nella reazione di fissione stessa.
Ora torniamo alle radiazioni spaziali.
La Terra è bombardata ogni giorno da una pioggia di particelle (raggi cosmici) di origine extraterrestre: questa radiazione è formata da protoni (86%), He (13%), elettroni (2%), nuclei (1%) e pochissimi raggi.
Quando le radiazioni spaziali arrivano nell’atmosfera urtano contro i nuclei degli atomi dell’aria e li frantumano formando protoni e neutroni, antiprotoni e antineutroni, mesoni.
E’ possibile che l’incremento delle radiazioni spaziali, con il declino del flusso del vento solare durante la fasi di bassa attività solare sia la causa dell’aumento dei neutroni che raggiungendo la superficie terrestre e interagendo con il mantello portano ad un’aumento del decadimento degli elementi radioattivi di questo strato del pianeta, di conseguenza ad una maggiore energia termica sprigionata.
Una connessione tra il vulcanismo e le radiazioni spaziali è stata già fatta in passato da altri ricercatori sebbene le spiegazioni siano differenti l’una dall’altra.
Eruzioni vulcaniche esplosive innescate dai raggi cosmici:
Toshikazu Ebisuzaki, Hiroko Miyahara, Ryuho Kataoka, Tatsuhiko Sato, Yasuhiro Ishimine
Estratto:
Vulcani con magmi ricchi di silice e altamente viscosi tendono a produrre violente eruzioni esplosive che provocano disastri nelle comunità locali e che influenzano fortemente l’ambiente globale. Abbiamo esaminato il calendario di 11 eventi eruttivi che hanno prodotto magmi ricchi di silice da quattro vulcani in Giappone (Mt. Fuji, Mt.. Usu, Myojin-sho, e Satsuma-Iwo-jima) negli ultimi 306 anni (dal 1700 AD a AD 2005).
Nove degli 11 eventi so sono verificati durante le fasi inattive di attività magnetica solare (minimo solare), che sono indicizzate dal numero di macchie solari.
Questa forte associazione tra i tempi dell’eruzione e il minimo solare sono statisticamente significativi ad un livello di confidenza del 96,7%.
Questa relazione non si osserva per le eruzioni di vulcani con magma relatiamente povero di silice, come Izu-Ohshima.
E ‘noto che il flusso di raggi cosmici è correlato negativamente con l’attività magnetica solare, in quanto il forte campo magnetico nel vento solare respinge le particelle cariche come i raggi cosmici galattici che hanno origine al di fuori del sistema solare.
La forte correlazione negativa osservata tra i tempi delle eruzioni ricche di silice e l’attività solare può essere spiegata dalle variazioni di flusso dei raggi cosmici derivanti dalla modulazione solare.
Poichè ricco di silice il magma ha tensione superficiale relativamente alta (~ 0,1 Nm -1 ), il tasso di nucleazione omogenea è così basso che tale magma esiste in uno stato elevata sovrasaturazione senza una considerevole essoluzione, anche quando si trova relativamente vicino alla superficie, all’interno della penetrazione della gamma di muoni dei raggi cosmici (1-10 GeV).
Questi muoni possono contribuire alla nucleazione nel magma supersatura, come documentato da molti autori che studiano una le bolle di una camera magmatica, con la perdita di ionizzazione.
Questo nucleazione indotta da radiazioni può portare all’ essoluzione pre-eruttiva di H2O nei magmi ricchi di silice.
Notiamo la possibilità che l’eruzione del vulcano Pinatubo nel 1991 è stata innescata dallo stesso meccanismo: un aumento di raggi cosmici innescato dal tifone Yunya, quando un diminuzione della pressione atmosferica ha prodotto un aumento del flusso di raggi cosmici.
Abbiamo anche ipotizzato che l’evento della Terra-palla di neve è stata innescata da successive eruzioni vulcaniche di grandi dimensioni innescate da un aumento del flusso di raggi cosmici a causa di vicine esplosioni di supernova.
Potrebbe sembrare una ricostruzione assai macchinosa, ma almeno si va a notare che anche altri hanno ipotizzato una correlazione tra gli eventi di vulcanismo e l’aumento delle radiazioni spaziali durante le fasi di bassa attività solare, in realtà tale studio non prende in considerazione gli eventi di vulcanismo effusivo con magma basaltico, ma solamente magmi ricchi di silice, tipici delle eruzioni esplosive.
Dal momento che la principale fonte di riscaldamento del pianeta è il decadimento radioattivo, le radiazioni spaziali in arrivo durante la fasi di bassa attività solare, come la Piccola Età Glaciale (1250-1913) potrebbe farne da catalizzatore accelerando il processo di decadimento e aumentando gli eventi di vulcanismo.
Gli effetti sarebbero visibili in un aumento delle temperature oceaniche e quindi un sistema climatico più irregolare, aumentando e intensificando le fasi di vulcanismo, l’attività sismica le sorgenti termali o la depressurizzazione del magma, liquidi e giacimenti di idrocarburi gassosi (infiltrazioni di petrolio e le esplosioni di metano), tutto questo è parte di ciò che è nota come la teoria del clima geo-nucleare.
Non è un caso che durante la Piccola Età Glaciale, abbiamo assistito ad un’escalation di attività vulcanica esplosiva e a gigantesche immissioni di roccia fusa.
Osserviamo il Minimo di Wolf dal 1280 al 1350 .
“La seconda metà del 13 ° secolo ha avuto il maggior vulcanismo qualsiasi periodo degli ultimi 1.500 anni”, dice Alan Robock, uno scienziato atmosferico presso la Rutgers University.
Campioni di ghiaccio polari hanno rivelato una serie di eruzioni: un’esplosione specialmente grande da qualche parte nel mondo nel 1258, e tre più piccole nel 1268, 1275 e 1284.
Sebbene il Minimo di Wolf sia cominciato nel 1280 è la banchisa marina del Nord Atlantico aveva cominciato a crescere già dal 1250, segnale che l’attività solare aveva già iniziato un trend di cicli volto alla decrescita, esattamente come ha fatto in questi ultimi decenni prima giungere all’attuale fase di bassa attività, prevista in ulteriore decrescita entro il prossimo Ciclo 25.
Il fatto che questa importante escalation vulcanica abbia coinciso con il Minimo di Wolf, quindi con grande aumento delle radiazioni spaziali dimostra un probabile nesso, similmente al successivo Minimo di Spoerer dal 1450 al 1550.
In questo periodo il vulcano Bardabunga, in Islanda, ebbe una colossale eruzione.
Nel febbraio del 1477, il Bárðarbunga eruttò con una combinazione catastrofica di una eruzione fessura regionale, con un’eruzione subglaciale esplosiva, un ‘imponente flusso piroclastico, esplosioni freatiche e colate di lava che hanno inflitto gravi danni in Islanda. Con un indice di esplosivo di 6, questa è stata una delle eruzioni vulcaniche più grandi del mondo.
Più a sud lungo la medesima linea di frattura un’altra forte eruzione avvenne nel campo vulcanico del Torfajokull.
Altre grandi eruzioni avvennero sotto il Minimo di Spoerer.
Un grande evento avvenne anche al vulcano Aniakchak, in Alaska.
Intorno al 1500 dC, durante uno degli eventi più violenti della storia recente sul vulcano Aniakchak, si stima che 0,75-1,0 km3 di materiale sia andato distrutto in un complesso vulcanico preesistente in semi cono e abbia inondato la maggior parte del pavimento della caldera con flussi piroclastici, sovratensioni, e spesso fallout per molti metri.
Durante la fase finale di questa eruzione, un flusso di lava ha riempito il bacino formato durante il collasso.
La potente eruzione è stata classificata Vei 5.
Nel 1452 un’altra grande eruzione Vei 6, avvenne in una caldera sottomarina a Vanuatu, chiamata Kuwae, anche questa è stata una delle più grandi eruzioni degli ultimi 10.000 anni.
Il collasso associato alla formazione della caldera potrebbe essere stato di più di 1.100 metri.
Intorno a 32-39 km cubi di magma sono stati eruttati, rendendo l’eruzione di Kuwaee uno dei più grandi eventi negli ultimi 10.000 anni.
In Antartide e Groenlandia i nuclei di ghiaccio evidenziano una grande eruzione o una serie di eruzioni che si rivela come un picco di solfato di concentrazione dimostrando che il rilascio in forma di particelle è stato superiore rispetto a qualsiasi altra eruzione.
Anche le analisi di carote di ghiaccio sono in grado di individuare l’evento alla fine del 1452 o all’inizio del 1453.
Questo volume di materia espulsa è più di sei volte più grande di quella del Pinatubo nel 1991 e avrebbe causato grave raffreddamento di tutto il pianeta per i successivi tre anni, sommato alla bassa attività solare del Minimo di Spoerer.
Un’altro evento di grado Vei 5 avvenne al vulcano Sakurajima, in Giappone, nel 1471, con una grande eruzione a carattere pliniano.
E lo stesso fenomeno si ripetè più volte anche sul vulcano Saint Helens, Oregon, durante quello stesso Minimo.
Non è stato da meno neanche il Minimo di Maunder, cominciato nel 1645 e terminato nel 1715.
Sembra che gli inverni rigidi di quel periodo non siano stati solo caratterizzati solo dall’eccezionalmente bassa attività solare, ma bensì da un’incremento del vulcanismo esplosivo connesso ad essa.
Su questa ultima affermazione di Stothers innesterei anche le ricerche di Caspar M. Ammann sull’ulteriore ruolo nei cambiamenti climatici determinatisi durante il Minimo di Maunder, in conseguenza dell’aumento del vulcanismo esplosivo.
Nel suo studio egli ricombina i risultati ottenuti dai carotaggi nei ghiacci con i dati dell’irraggiamento solare dell’epoca e propone una nuova rilettura dei dati noti.
Secondo questo autore l’abbassamento della temperatura durante il Minimo di Maunder non sarebbe stato determinato solamente dalla ridotta attività solare e lo stesso sottolinea che la maggior parte degli autori avrebbero ignorato nei loro studi gli altri importanti fattori che possono aver drammatizzato la variazione climatica.
Tra questi fattori Amman pone la responsabilità dell’aumentato vulcanismo nel determinare, nel perdurante periodo di freddo, dei picchi di ulteriore raffreddamento climatico, in particolare nell’ultimo periodo del Minimo di Maunder.
Una grande eruzione di questo periodo è quella del Komaga-take, in Giappone.
L’eruzione del 1640 fu probabilmente la più grande nella storia del Giappone e ha iniziato un periodo di attività più frequente esplosiva.
Lo tsunami ha causato 700 morti.
Quest’eruzione è stata classificata Vei5.
Un’eruzione ancora peggiore avvenne l’anno successivo nelle Filippine, scatenata dal vulcano Melibengoy, classificata Vei6.
Questo vulcano era sconosciuto alla maggior parte dei vulcanologi fino ad anni recenti, ma è ormai noto per essere stato la fonte di una grande eruzione esplosiva nel 1641.
Il vulcano Melibengoy noto anche a livello locale come Falen, è un basso stratovulcano che domina la Sarangani Bay vicino alla punta meridionale dell’isola di Mindanao.
Il vertice di Parker è troncato da una caldera di 2,9 km di larghezza con pareti scoscese che si ergono 200-500 m sopra a forma di cuore sul lago Maughan.
Questo vulcano era sconosciuto alla maggior parte dei vulcanologi fino a questi ultimi anni, ma è ormai noto per essere stato la fonte di un importante eruzione esplosiva nel 1641.
Un’altra eruzione di proporzioni colossali e di simile potenza avvenne a Long Island nel 1660, Papua Nuova Guinea, anche questa classificata Vei6.
Quest’ultima è stato una delle più grandi eruzioni storiche in Papua Nuova Guinea e ha depositato tefrite andesitica in tutta la Nuova Guinea Highlands, spingendo leggende locali di un “Tempo di Oscurita”.
Passiamo ora al Minimo di Dalton, cominciato nel 1790 e terminato nel 1830, questo Minimo dal punto di vista vulcanico è uno dei più recenti e quindi uno dei più studiati sia dal punto di vista climatico sia dal punto di vista dal quantificare il numero di intense attività vulcaniche che furono una delle cause indirette della Rivoluzione Francese e portarono anche alla caduta di Napoleone.
L’eruzione del Laki del 1783 è stata solo l’inizio, l’accordo apre in una sinfonia di distruzione e avvenne in concomitanza un’latra catastrofica eruzione vulcanica del vulcano Unzen, in Giappone.
Seguita da una raffica di altre eruzioni vulcaniche, ciascuna aggiungendo ancora più polvere nell’ atmosfera.
L’Etna era attivo nel 1780, 1792-93, 1802 e 1809 e ci fu una grande eruzione dal 27 Ottobre 1811 al maggio 1812, un mese prima che la Grande Armata entrasse in Russia.
Il vulcano Urzelina nelle Azzorre entrò in eruzione nel 1808.
Quell’anno in Inghilterra, Luke Howard aveva notato un anomalo brillante crepuscolo.
L’anno seguente Constable dipinse un altro meraviglioso dipinto di polvere di ispirazione con il fiume Stour al tramonto quando l’Etna aveva eruttato.
Ci furono anche effetti di una grande eruzione da parte di un vulcano ‘sconosciuto’ nel 1811, e così come la grande eruzione in corso sull’Etna, vi era una maggiore attività vulcanica delle Azzorre e anche il Vesuvio eruttò quell’anno.
Nelle Indie Occidentali sull’isola di Saint Vincent, il Soufriere eruttò nel 1811 e aprile 1812 – di nuovo poco prima dell’invasione della Russia.
Così non dovrebbe essere una sorpresa che nella stessa Russia, la primavera sia arrivata tardi, nel 1812, e quindi i raccolti erano acerbi, quando arrivarono i francesi, l’estate era incredibilmente calda e polverosa, rotta da torrenziale acquazzoni artici come descritto da Coignet, l’autunno era insolitamente mite e l’inverno è stato uno dei peggiori mai registrati.
Un’altra grande eruzione avvenne sul vulcano Awu, in Indonesia, sempre nel 1812, uccidendo anche 953 persone, e a sua volta libera nell’atmosfera, ceneri, polveri e una gran quantità di gas (anche qui per un totale 550.000 Km3).
Anche in questo caso, sia i gas che le polveri sottili rimangono in sospensione nell’atmosfera e vengono anch’esse sparpagliate ai quattro angoli del globo, sommandosi a quelle del Soufriere e degli altri vulcani precedenti.
Nel 1813 ancora una volta il Vesuvio ebbe un brusco risveglio con una potente eruzione.
Una parte del cono vulcanico addirittura crollò, una certa quantità di ceneri vennero scagliate fino a Napoli ed Ischia, e almeno 75.000 Km3 di emissioni vennero liberate in aria.
L’anno successivo, il 1814 un altro vulcano addormentato, il Mayon nelle Filippine, improvvisamente si risvegliò con tutta la sua potenza distruttiva.
Fra lampi e bagliori infuocati un’enorme colonna di polveri e gas velenosi si innalzò verso l’alto, per poi ricadere alle pendici del cono bruciando e avvelenando ogni cosa al suo passaggio.
Almeno 1200 persone morirono a causa dell’eruzione, mentre la quantità di emissioni liberate nell’atmosfera fu all’incirca uguale a quelle sprigionatisi dal Soufriere e dall’Awu, cioè 500.000 Km3.
L’anno seguente, il 1815, invece avvenne la più grande di tutte le eruzioni, quando il vulcano Tambora eruttò con una violenza tale da demolire quasi completamente il suo edificio vulcanico, che disintegrò ben 1400 metri della sua struttura montuosa, liberando in aria nell’arco di cinque giorni – dal 7 al 12 aprile – non solo una quantità di gas pari a 200 milioni di tonnellate, ma soprattutto una enorme quantità di polveri e ceneri: tra i 100 ed i 300 chilometri cubici, secondo differenti calcoli. Quantità così gigantesche di emissioni furono sufficienti non solo per provocare decine di migliaia di vittime, ma anche per modificare già in breve tempo l’atmosfera ed il clima soprattutto dell’emisfero settentrionale, riducendo il passaggio e l’assorbimento della luce solare e favorendo le precipitazioni.
Quello che si osserva, in base ad un così elevato numero di eruzioni durante le decrescite dell’attività solare, è che i fenomeni eruttivi non solo sembrano farsi enormemente più violenti ma anche le emissioni laviche stesse sembrano di gran lunga maggiori rispetto ai livelli di quantità che abbiamo conosciuto tra il 19° e il 20° a indicare come descritto in precedenza un’aumento dell’energia termica sprigionata dall’interno del nostro pianeta causata da un’accelerazione del decadimento radioattivo degli elementi presenti del mantello, innescato dalle radiazioni spaziali.
Anche la quantità di materiale da tali eruzioni sembra maggiore rispetto ai periodi odierni.
Osserviamo l’eruzione del vulcano Hekla, Islanda, poco prima del Minimo di Dalton, nel 1766-68 il vulcano ha emesso la più lunga ed importante per il suo volume di lava mai prodotta da un vulcano islandese; l’eruzione del sistema vulcanico Laki-Grismvotn, un decennio prima del Minimo di Dalton, nel 1783, altissime fontane di lava alte 1400 metri cominciarono ad espellere enormi quantità di basalto, vennero espulsi, secondo alcune stime, 14 chilometri cubi di basalto; il Mauna Loa, Hawaii, nel 1855-56, dopo il Minimo di Dalton, si dice che il flusso di lava emesso sia stato uno dei più grandi mai visti da osservatori moderni; l’Etna, durante il Minimo di Wolf, nell’eruzione del 1285 le lave uscite fuori dal lato orientale divise in molti rami circondarono l’eremo di S. Stefano e devastarono una grande estesa di campagne, durante l’eruzione del 1381, durante il Minimo di Maunder, nel 1614, l’eruzione più lunga del periodo storico, il fenomeno durò ben dieci anni ed emise oltre un miliardo di metri cubi di lava, coprendo 21 chilometri quadrati di superficie sul versante settentrionale del vulcano, sempre sotto lo stesso Minimo, nel 1651 iniziata a febbraio con lave verso varie direzioni; un braccio sul fianco orientale piomba nel vallone di Macchia di Giarre, un altro in sole 24 ore arrivò sino al paese di Bronte che investì dal lato nord, l’eruzione ebbe una durata di circa tre anni con successive colate che si sovrapposero per oltre 12 chilometri e per la larghezza media dì 3 km, sempre sotto il Minimo di Maunder, nel 1669, l’eruzione durò 122 giorni ed emise un volume di lava di circa 950 milioni di metri cubi, creata nuova terraferma per alcuni chilometri a sud-ovest della città; scompare definitivamente il Lago di Nicito e il fiume Amenano viene per grossa parte sepolto; Osserviamo Isla de Lanzarote nel 1730, arcipelago delle Canarie, fu teatro di una delle più grandi eruzioni vulcaniche del mondo in epoca recente, che durò per sei anni e rigettò nell’aria migliaia di tonnellate di roccia fusa.
La frequenza, la quantità di lava emessa da questi vulcani, il grande numero di eruzioni esplosive durante i vari Minimi come quello di Dalton, ci fanno capire che il pianeta durante la Piccola Età Glaciale, non solo era estremamente freddo a causa della decrescita solare e dell’enorme attività vulcanica, ma anche con un genere di vulcanismo molto più irrequieto e violento di quello che abbiamo osservato in periodi recenti.
Gli ultimi tre decenni sono stati assai molto caratteristici dal punto di vista vulcanico in corrispondenza con il declino dell’intensità dei cicli undecennali dell’attività solare.
In Messico, il vulcano El Chichon che non eruttava dal 1360 si è risvegliato con un botto mostruoso nel 1982, con drastici effetti climatici; Negli Stati Uniti, nel 1980 il vulcano Saint Helens si risveglio anch’esso con una fortissima eruzione dopo oltre un secolo di quiescienza; Il Kilauea, alle Hawaii, primi di gennaio del 1983, entrò in eruzione con un’attività del tutto nuova con enormi fiumi di lava basaltica, e da allora, dopo 30 anni, l’eruzione non è più finita; In California, dal 1979, la caldera della Long Valley, cominciò un’enorme inflazione accompagnata da frequenti scosse di terremoto di magnitudo 6, causata da un corpo di magma fresco in risalita dall’interno dell’apparato vulcanico; Nel 1991, il vulcano Pinatubo, nelle Filippine, entrò in eruzione dopo 500 anni di inattività, anch’esso con drastici effetti climatici; Nel corso degli anni ’90 e con l’entrata nel nuovo millennio, la frequenza eruttiva del vulcano Hekla, in Islanda, è aumentata.
Passiamo all’anno 2007-2008 quando iniziò l’attuale fase si bassa attività solare, oltre ad essere il minimo undecennale tra il ciclo 23 e il 24 e fu in questo periodo che cominciò una nuova intensa escalation vulcanica:
Nel aprile del 2007, in Columbia, si risvegliò con una forte eruzione il Nevado del Huila, inattivo da 500 anni; Nel maggio 2008, in Cile, entrò in eruzione il vulcano Chaiten, inattivo da 9400 anni; nell’agosto di quello stesso anno entrò in eruzione il vulcano Kasatochi la cui ultima eruzione risaliva al 1899; nell’aprile 2010 entrò in eruzione, in Islanda, il vulcano Eyjafjallajökull, dopo 187 anni, inattivo dai tempi del Minimo di Dalton..
La cifra è piuttosto lunga tuttavia è anche interessante notare che anche la tipica attività di diversi vulcani ha cominciato a cambiare, in seguito al forte aumento delle radiazioni spaziali.
-L’eruzione del vulcano Merapi, in Indonesia, tra il 2010 e il 2011 è stata definita una delle più intense da diversi secoli.
-Nel 13 maggio 2008, subito ad est dei crateri sommitali l’Etna è stata accompagnata da uno sciame di oltre 200 terremoti e deformazioni del suolo significativo nella zona sommitale. L’eruzione continuò per 417 giorni, fino al 6 luglio 2009, rendendo questa l’eruzione più lunga fianco dell’Etna dopo l’eruzione 1991-1993 che durò 473 giorni.
-Il Popocatepetel, in Messico, è rimasto quiescente per oltre mezzo secolo, poi nel 1991 l’attività del vulcano è aumentata e dal 1993 il fumo ha continuato ad essere emesso dal cratere.
Il 21 dicembre 1994, il vulcano ha eruttato gas e cenere fino a 25 km (16 miglia) di distanza spinta dai venti dominanti. L’attività aveva richiesto l’evacuazione delle città vicine.
L’attività si è ulteriormente intensificata nel dicembre del 2000, decine di migliaia di persone sono state evacuate dal governo sulla base degli avvertimenti di scienziati. Il vulcano poi ha fatto la sua più grande nube di cenere in 1200 anni.
Successivamente tra il 2011-2013 l’attività si è ulteriormente intensificata aumentando la frequenza delle eruzioni.
-Anche il vulcano Fuego, in Guatemala, in tempi recenti ha assistito ad un’incremento sostanzioso della sua attività.
Nel 2012 il vulcano ha prodotto la sua più grande eruzione in dieci anni facente parte di un’attività che è iniziata nel 2002 con un’intero decennio di eruzioni esplosive intermittenti e colate di lava dal vulcano.
-Il Grímsvötn, in Islanda, è un vulcano basaltico che ha la più alta frequenza di eruzioni di tutti i vulcani in Islanda e ha un sistema di fessura con trend sud-ovest-nord-est.
L’ultima eruzione è stata nel 2011 che emise in pochi giorni la stessa quantità di materiale eruttato nell’arco di diversi mesi dal suo compagno nel 2010, l’eruzione è stata classifica come una delle sue più violente da almeno 140 anni.
-Anche il vulcano sottomarino Karmandec, nel 2012, ha fatto parlare di se con un’eruzione più grande delle altre.
La nave di ricerca Tangaroa aveva mappato il vulcano Kermadec entrato in eruzione 800 km a nord est di Tauranga il 19 luglio, producendo una zattera di pomice delle dimensioni di Canterbury. L’eruzione era abbastanza forte da violare la superficie dell’oceano da una profondità di 1100 metri.
Il vulcanologo dottor Richard Wysoczański, che guidava i 23 giorni della spedizione, ha detto che vi era stata attività vulcanica ogni anno negli ultimi dieci anni, ma questa era la più grande di tutte queste.
“Si tratta di una eruzione sostanziale. Se si è verificasse su una zona in Nuova Zelanda, sarebbe stata un po ‘un disastro.
“La caldera vulcanica, che è come il Lake Taupo, noto per la produzione di grandi eruzioni e violento,ha vomitato fino a 10.000 in più di materiale rispetto alla eruzione Monte Tongariro il 6 agosto, ha detto.
E ‘stato mappato nel 2002, che mostrava un 1km, alta montagna sottomarino e largo 5 km, 800 con un profondo cratere centrale.
Gli scienziati hanno trovato successivamente un nuovo cono vulcanico che si era formato sul bordo del vulcano, che dominava a 240 metri al di sopra del bordo del cratere precedente.
Diversi chilometri cubi di materiale nuovo sono stati aggiunti al vulcano, con grandi volumi di pomice accumulati sul pavimento caldera, portandolo fino a 10 metri.
-Un’emissione di lava ancora maggiore era avvenuta pochi mesi prima sempre nella stessa area da un’altro vulcano sottomarino, chiamato Monowai aggiungendo circa 300 milioni di metri cubi di roccia al suo vertice – un volume pari a 3.500 piscine olimpioniche di nuoto – in soli cinque giorni.
-Nel 2012, in Giappone uno studio aveva messo in allarme, circa l’esistenza di un grande accumulo magmatico sotto diversi vulcani in Giappone.
I ricercatori hanno detto che l’attività sismica è salita in 20 vulcani attivi in tutto il Giappone, tra cui il Monte Fuji, dopo il magnitudo 9.0 che ha colpito nel 2011.
L’assenza di una eruzione davvero enorme per un secolo ha suggerito che c’era un accumulo enorme di magma, che ad un certo punto inevitabilmente erutterà da un vulcano con enorme forza.
Secondo lo studio, 1162 eruzioni si sono verificati in Giappone nel corso degli ultimi 2.000 anni.
Di queste, 52 sono state gli eventi principali che hanno vomitato un volume enorme di cenere e lava in un breve periodo.
Equivale a una grande eruzione che si verifica ogni 38 anni. I registri mostrano che tre eruzioni vulcaniche nel 17 ° secolo, tra cui uno nel Monte Hokkaido-Komagadake in Hokkaido nel 1640, ha vomitato l’equivalente di 1 miliardo di metri cubi di cenere e lava.
Due eruzioni simili si sono verificate nel 18 ° secolo, una delle quali ha coinvolto il Monte Fuji nel 1707.
Si noti sopra come il flusso di neutroni prodotto dalle radiazioni spaziali sia rimasto relativamente alto rispetto ai decenni precedenti, in linea con la minore intensità dei cicli solari.
Nel corso 2018 oltre 600 persone sono morte a causa delle grandi eruzioni di Fuego, in Guatemala e nello tsunami causato dalla catastrofica eruzione di Anak Krakatau, tra Java e Sumatra che ha portato al collasso in mare di parte dell’isola vulcanica.
A tutto ciò si assomma il fatto che nel 2018 migliaia di abitanti delle isole di Kadovar, Papua Nuova Guinea; Ambae, arcipelago di Vanuatu; Ambrym, arcipelago di Vanuatu; e Manam, Papua Nuova Guinea, sono stati evacuati a causa della devastazione portata dalle eruzioni in tutte le isole, con conseguente ricaduta di cenere che ha devastato tutti i territori agricoli e inquinato le falde acquifere, rendendo invivibile il territorio delle isole già esposto a forti scosse di terremoto e alla presenza di gas mortali gas vulcanici.
Secondo l’Istituto di sismologia, vulcanologia, meteorologia e idrologia (Insivumeh), la fase eruttiva del vulcano de Fuego, nel giugno 2018, è stata la più forte da quando si è riattivato nel 1999.
L’eruzione è stata classificata un VEI 4 e le nubi di cenere sono state spinte ad un’altezza di almeno 15 chilometri, di conseguenza immettendo polveri e solfati nell’atmosfera.
4 ed è stata 10 volte più violenta di quelle registrate negli ultimi 20 anni, e avrebbe avuto un significativo impatto stratosferico, vale a dire un effetto di raffreddamento.
In diverse occasioni invece a Vanuatu, nell’isola di Ambae, il vulcano Manaro risulta essere stato il vulcano che ha espulso i più elevati tassi di SO2, anidride solforosa, nell’atmosfera nel 2018, le cui colonne di cenere hanno anch’esse raggiunto un’altezza di 15 chilometri, di conseguenza anch’esso immettendo elevate percentuali di solfati nella stratosfera.
Il vulcano Manaro Voui ha vomitato almeno 400.000 tonnellate di anidride solforosa nella parte superiore della troposfera e nella stratosfera durante la sua fase più attiva a luglio, e un totale di 600.000 tonnellate nel 2018.
Questo è stato il triplo rispetto a tutte le eruzioni combinate nel 2017.
Un’ulteriore fenomeno interessante invece è avvenuto nelle profondità dell’Oceano Indiano.
Marc Chaussidon, direttore dell’Istituto di geofisica di Parigi (IPGP), ha esaminato le mappe del fondo marino da una missione recentemente conclusa e ha visto una nuova montagna.
L’ascesa dal fondo dell’Oceano Indiano tra l’Africa e il Madagascar c’era un colossale complesso alto 800 metri e largo 5 chilometri.
Nelle mappe precedenti, non c’era stato nulla di simile. “Questa cosa è stata costruita da zero in 6 mesi!” ha confermato lo stesso Chaussidon.
La sua squadra, insieme agli scienziati dell’agenzia di ricerca nazionale francese CNRS e di altri istituti, ha assistito alla formazione di un nuovo gigantesco vulcano sottomarino, il più grande evento subacqueo mai visto. “Non abbiamo mai visto nulla di simile”, dice Nathalie Feuillet dell’IPGP, leader di una spedizione sul sito della nave da ricerca Marion Dufresne, che ha pubblicato i suoi primi risultati.
Il milione di persone che vivevano nell’arcipelago francese di Mayotte nell’arcipelago delle Comore sapevano da mesi che stava succedendo qualcosa.
Dalla metà dello scorso anno hanno sentito terremoti quasi ogni giorno, dice Laure Fallou, una sociologa con il Centro sismologico europeo-mediterraneo a Bruyères-le-Châtel, in Francia.
Le persone “avevano bisogno di informazioni”, dice. “Stavano diventando molto stressati e stavano perdendo il sonno.”
I dati dei sismometri, recuperati dalla spedizione di questo mese, mostrano una regione fortemente concentrata di attività sismica, che vanno da 20 a 50 chilometri di profondità nella crosta terrestre.
Il team sospetta che una profonda quanto grande camera di magma abbia sfogato la roccia fusa sul fondo del mare e poi si sia contratta causando la fratturazione della crosta circostante.
Le misurazioni GPS su Mayotte suggeriscono anche una camera magmatica che si restringe: mostrano che l’isola è affondata di 13 centimetri e si è spostata di 10 centimetri ad est nell’ultimo anno.
La mappa del fondale marino, realizzata dal sonar multibeam della nave, indica che ben 5 chilometri cubici di magma sono risaliti sul fondo del mare.
Il sonar ha anche rilevato che pennacchi di acqua calda ricca di bolle si alzavano dal centro e dai fianchi del vulcano.
La chimica dell’acqua darà indizi sulla composizione del magma, sulla profondità da cui proviene e sul rischio di un’eruzione esplosiva.
L’equipaggio ha anche dragato delle rocce dai fianchi del vulcano appena formatosi.
“Erano ribollenti mentre li abbiamo portati a bordo”, dice Feuillet, un segno di gas ad alta pressione intrappolato all’interno del materiale vulcanico nero.
Indubbiamente per andare a formare un apparato vulcanico lungo 5 chilometri e alto 800 metri in appena sei mesi la portata di una simile eruzione deve essere stata a dir poco colossale.
Ci sono paralleli con la grande eruzione del vulcano Kilauea, alle Hawaii, nell’area di Leilani che durò da maggio fino a fine agosto 2018.
È interessante notare che l’evento avuto luogo alle Hawaii si è manifestato con una cronologia parallela all’evento di Mayotte.
Concludiamo dicendo che non sorprende che il periodo della Piccola Età Glaciale sia ricordato tanto, visti gli effetti che il forte vulcanismo del periodo abbia avuto sugli eventi meteorologici del periodo, allo stesso modo è interessante notare un parallelo simile con la contrazione dell’attività solare del periodo odierno, il che rende la teoria della casualità sempre meno attraente.